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Prof.ssa Barbara Zizzi

OLIO ALGALE

05-2013


 Gli acidi grassi Omega-3

 Alla base di gran parte delle patologie tipiche dell’epoca attuale c’è l’enorme aumento da un lato dei processi infiammatori, dall’altro di quelli neurodegenerativi. In entrambi i casi gli acidi grassi Omega-3 hanno dimostrato di poter svolgere un ruolo terapeutico fondamentale. E’ noto come i processi degenerativi causati dalla produzione eccessiva di eicosanoidi infiammatori come le prostaglandine di serie 2 (PGE2) e certi tipi di leucotrieni e trombossani, siano alla base delle patologie cardiocircolatorie, tumorali, osteoarticolari e neurodegenerative.

Anche se tale eccesso di eicosanoidi infiammatori dipende da numerosi fattori nutrizionali (e non solo); il rapporto sbilanciato tra grassi saturi e insaturi da un lato, e quello ancora più squilibrato tra Omega-6 e Omega-3 all’interno degli insaturi, gioca un ruolo certamente decisivo.

Mentre il rapporto tra grassi saturi e insaturi va progressivamente migliorando all’interno della popolazione, per fattori che sarebbe troppo lungo analizzare qui, il rapporto tra Omega6 (acido linoleico – LA) e Omega-3 (acido alfa-linolenico – LNA), la cui proporzione ideale si situa tra 4:1 e 2:1, è attualmente così squilibrata che l’ultimo rapporto dello FDA statunitense parla di un rapporto medio nella comune alimentazione di ben 25:1 (in Europa siamo tra il 10:1 e il 15:1). Questo squilibrio è la principale causa dell’eccesso di produzione degli eicosanoidi infiammatori. Esso può essere contrastato sia correggendo l’utilizzo dei grassi nella alimentazione, soprattutto introducendo fonti di acido alfa-linolenico quali olio di lino e alghe Klamath; sia introducendo nella dieta fonti di Omega-3 direttamente utilizzabili dal corpo quali il pesce (azzurro, salmonidi non di allevamento, tonno, etc.) o, meglio ancora, olio algale.

Anche se le fonti alimentari di alfa-linolenico LNA sono importanti indipendentemente dai suoi metaboliti EPA e DHA, il fatto che la trasformazione metabolica dello LNA è problematica nella gran parte della popolazione, e soprattutto proprio nei soggetti più a rischio, rende estremamente utile, e spesso indispensabile, l’introduzione alimentare di Omega-3 direttamente utilizzabili dal nostro organismo quali il DHA. La trasformazione dello LNA in EPA e DHA dipende infatti da un enzima, il Delta-6 desaturasi, che è scarsamente presente nel tratto digestivo, e riesce a trasformare in metaboliti finali, DHA ed EPA, non più del 5% dello LNA ingerito. Inoltre, il Delta-6-desaturasi è ancora più carente proprio negli anziani, nei diabetici, negli ipertesi, e nelle persone affette da patologie neurodegenerative, cioè proprio in quelle persone che più avrebbero bisogno di compiere quella trasmutazione metabolica.

I vantaggi dell’olio algale

Stabilita dunque l’utilità di una integrazione diretta degli Omega-3 biodisponibili, restano da chiarire i motivi per cui l’olio algale è preferibile rispetto agli oli di pesce. Innanzitutto va detto che la fonte originaria di EPA e DHA sono le alghe verdi-azzurre contenute nel plancton, e che solo in quanto si nutrano di tali microalghe i pesci sono fonti effettive di Omega-3. Poiché l’80% del pesce consumato è ormai di allevamento e si nutre di tutto fuorché di microalghe verdi-azzurre, il contenuto di Omega-3 del pesce comunemente consumato è praticamente nullo: questa è la ragione per cui, nonostante il consumo di pesce sia quintuplicato negli ultimi 20 anni, le patologie legate al dismetabolismo dei grassi (obesità, problematiche cardiovascolari, infiammatorie, ecc.) anziché diminuire sono ulteriormente aumentate.

La situazione è ovviamente diversa in rapporto agli oli di pesce, che sono estratti da pesce di mare e normalmente titolati in EPA e DHA. Il primo problema è ovviamente quello della drammatica depauperazione dei mari, e della ingente diminuzione del pesce disponibile:

l’aumento del consumo terapeutico degli oli di pesce ovviamente non fa che rafforzare questo tragico trend di distruzione ecologica.

L’altro problema pratico degli oli di pesce è quello legato ai fenomeni di rigurgito che esso provoca nella maggior parte delle persone (anche se ultimamente esistono sul mercato oli di pesce molto meno soggetti a questo tipo di problemi). Di sicuro, l’olio algale è ben tollerato da tutti gli individui, e non genera assolutamente nessun fenomeno di rigurgito o nausea. Inoltre, mentre l’olio di pesce necessita di numerosi processi di lavorazione chimica (specie se è del tipo manipolato per evitare i problemi di rigurgito), l’olio algale è assolutamente puro e non manipolato.

Ma il vantaggio più grande dell’olio algale è di tipo funzionale: l’olio algale ha infatti una titolazione di DHA notevolmente superiore a quella degli oli di pesce, che in genere hanno un più alto contenuto di EPA. Ma la maggior parte dei benefici deriva soprattutto dal DHA:

 

FunzioneEPADHA
Prevenzione patologie cardiovascolariSI: debole attività proaggregante + riduzione trigliceridi circolantiSI: diminuzione trigliceridi circolanti;
previene la placca aterosclerotica
DiabeteSI: aumenta il grado di insaturazione delle membraneSI: modifica la sensibilità all’insulina delle membrane cellulari.
Crescita fetale e neonataleNO: è sconsigliato l’eccessoSI: i livelli nel funicolo ombelicale correlati al peso alla nascita
Sviluppo della retina e Sistema nervoso centraleNO: in pratica assente nei lipidi delle cellule nervoseSI: modula le attività di membrana rendendole più fluide; facilita il ricambio di rodopsina nei bastoncelli

 

DHA e sistema neurocerebrale

Il DHA è il principale componente del cervello, tanto che nelle membrane nervose e sinaptosomali plasmatiche rappresenta circa un 35% della porzione acidica totale.

Proprio per questo, esso è essenziale per il corretto sviluppo neurale del bambino e più in generale per la plasticità sinaptica.

Con l’invecchiamento si assiste al calo del DHA, e in parallelo ad una perdita di funzionalità cerebrale. In effetti, i pazienti affetti da morbo di Alzheimer mostrano livelli bassissimi di DHA nel cervello.

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Quando il ripetersi di stress implicanti il sistema nervoso si associa ad una carenza di DHA, si ha come risultato una perdita di plasticità sinaptica che a sua volta genera perdita di memoria e ridotta efficienza intellettiva.

Diversi studi hanno dimostrato come l’integrazione di DHA nella dieta possa apportare un significativo miglioramento delle funzioni cognitive e un rovesciamento della senescenza neurocerebrale.

Da notare anche che le carenze di DHA portano all’alterazione delle proprietà biofisiche delle membrane neuronali, e ciò ha non solo degli effetti diretti sulla traduzione del segnale, ma anche sui neurotrasmettitori, sull’uptake di serotonina e sulla trasmissione dopaminergica e serotoninergica.

Tutto ciò implica di riflesso che l’integrazione di DHA, promuovendo la normalizzazione dell’attività dei neurotrasmettitori, può avere effetti significativi su condizioni quali depressione, senso della fame, memoria e acutezza mentale, processi di degenerazione neurocerebrale.

In particolare, il DHA gioca una ruolo decisivo nella prevenzione dell’invecchiamento neurologico e nella protezione dai processi neurodegenerativi, aiutando a mantenere l’efficienza cerebrale, anche grazie alla sua capacità di stimolare antiossidanti endogeni come il glutation-perossidasi soprattutto nel cerebro.

DHA e sistema cardiocircolatorio

Anche se effetti benefici sul sistema cardiocircolatorio sono prodotti sia dallo EPA che dal DHA, la recente letteratura scientifica ascrive solo al DHA l’intera gamma di benefici terapeutici sulle patologie cardiovascolari. Il DHA è un normale componente delle membrane vascolari e cardiache, e la carenza di DHA può compromettere l’integrità e la funzionalità tissutale cardiaca. Numerosi studi hanno confermato che l’integrazione di DHA nella dieta porta ad una significativa riduzione dei biomarkers associati alle patologia cardiovascolare, che ancora oggi costituisce la prima causa di morte nel mondo. La serie di benefici attribuibili alla integrazione di DHA sono così riassumibili:

a) riduzione dei trigliceridi;

b) riduzione dell’aggregazione piastrinica e della viscosità sanguigna;

c) inibizione dello sviluppo di placche aterosclerotiche;

d) abbassamento della pressione sanguigna;

e) riduzione della fibrillazione ventricolare e delle aritmie;

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McLennan P. et al., The cardiovascular protective role of docosahexaenoic acid, in European Journal of Pharmacology, 300 (1996): 83-89.


Gravidanza e allattamento

Un’altra area dove il DHA svolge un ruolo fondamentale è la nascita, crescita e sviluppo cerebrale del neonato e del bambino.

In gravidanza, si ha un forte accumulo di DHA nel cervello del feto proprio nell’ultimo trimestre, e dalla quantità e qualità di tale accumulo dipende il normale sviluppo neuronale e cerebrale del neonato.Il feto riceve il DHA di cui ha bisogno dalla placenta materna, e dunque la salute neurocerebrale del neonato dipende in misura significativa dalla presenza o meno nella dieta della madre di DHA o del suo precursore LNA (ma in questo caso ci devono anche essere tutte le condizioni nutrizionali ed enzimatiche necessarie a trasformare lo LNA in DHA, condizioni che sono sempre più rare nella popolazione). In effetti, diversi studi hanno stabilito una diretta correlazione tra composizione della dieta materna e il contenuto di DHA nel cervello e nella retina della prole.

Oltre a svolgere un ruolo decisivo per il corretto sviluppo neuronale del feto, la ricerca ha iniziato a dimostrare come l’assunzione di DHA durante la gravidanza possa prolungare la gestazione, aumentare il peso alla nascita e ridurre le possibilità di nascite premature.

Va infine aggiunto che, proprio a causa del trasferimento degli EFA dalla madre al feto durante la gravidanza, la madre stessa tende ad subire una forte depauperazione dei suoi livelli di EFA, il che è ritenuto da alcuni una delle principali cause della depressione post-partum.

L’integrazione di EFA, e in particolare di DHA, durante la gravidanza è utile dunque non solo per il bambino ma per la madre stessa.

Infanzia

La letteratura scientifica sul ruolo essenziale giocato dal DHA nello sviluppo neuronale e cerebrale del bambino è ormai fortemente consolidata. I bambini allattati al seno tendono ad avere una presenza maggiore di DHA nelle membrane neuronali, ma ciò dipende molto dalla qualità della dieta materna (da cui l’importanza della integrazione dietetica di DHA nella madre).

I preparati industriali sostitutivi del latte materno contengono non tanto il DHA, quanto il suo precursore, l’acido alfa-linolenico (LNA), che molto spesso non riesce ad essere trasformato nei suoi metaboliti utili a causa delle carenze nutrizionali ed enzimatiche prevalenti nella popolazione (specie quella infantile). L’integrazione di Omega-3 prontamente biodisponibili può essere dunque essenziale per il corretto sviluppo neurocerebrale del bambino.

Nel caso del bambino, l’olio algale ricco in DHA è superiore all’olio di pesce anche perché quest’ultimo, contenendo elevate di dosi di EPA, interferisce con l’azione dell’acido arachidonico (AA), anch’esso essenziale per la crescita neuronale nell’infanzia.

Per concludere, occorre anche sottolineare come l’integrazione di DHA nella dieta dei bambini non allattati al seno, o delle mamme che allattano, ha forti possiblità di migliorare lo sviluppo immunologico del bambino, in particolare tramite il potenziamento della composizione e maturità di linfociti, citochine e antigeni.

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Acutezza Visiva

Le membrane fotorecettoriali della retina rappresentano la parte del nostro organismo che è costituita dalla più alta percentuale di DHA, circa il 60%. Diversi studi, condotti sia sugli animali che sull’uomo, hanno messo in luce come la carenza di DHA generi conseguenze negative anche sulla capacità visiva.

Con l’avanzare dell’età, si assiste ad una perdita progressiva dei fotorecettori, anche a causa di processi ossidativi degenerativi che implicano soprattutto la frazione lipidica di tali recettori, costituita in gran parte dal DHA. La capacità del DHA, e solo del DHA, di arrestare l’apoptosi dei fotorecettori è stata provata sia in vitro che in vivo.

Questo conferma come l’integrazione di DHA possa avere effetti benefici sia sulla degenerazione maculare legata all’età, sia su patologie oculari quali la retinite pigmentosa.

Attività antinfiammatoria

Per la sua capacità di sostituire l’acido arachidonico (AA) nelle membrane, il DHA esercita anche una importante azione antinfiammatoria. L’AA è infatti precursore delle PGE2 e dei leucotrieni infiammatori, e poter evitare che esso diventi parte delle diverse membrane tissutali, anche muscolari, gioca un ruolo decisivo nel ridurre i diversi processi infiammatori (anche negli sportivi). Inoltre, il DHA stimola la produzione delle prostaglandine di serie 1 (PGE1), che stimolano l’afflusso di sangue ai muscoli, favorendo così una migliore ossigenazione muscolare.

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Bazan NG, De Turco EBR, Pharmacological Manipulation of Docosohexaenoic Phospholipid

Cranio sacrale, ovvero la terapia dell'ascolto


E' un'arte che comprende allo stesso modo le mani, la mente e il cuore.
La sua dimensione è l'ascolto di ciò che il corpo vuole comunicare


Anche se la medicina moderna, negli ultimi decenni, ha enfatizzato sempre più la diagnostica strumentale a scapito di quella manuale, ritenendo le macchine maggiormente affidabili rispetto alla capacità del singolo individuo, si è ormai affermata la Terapia Cranio-sacrale, basata su una forma di contatto dove le mani del terapista diventano allo stesso tempo, strumento in grado di interrogare, ascoltare e rispondere a ciò che il corpo vuole comunicare; inoltre il potenziale elettrofisio-logico delle mani del terapista, può influenzare direttamente la cute e il corpo del paziente.

La Terapia Cranio Sacrale é una tecnica messa a punto dall'osteopata John E. Upledger, professore di Biomeccanica della Facoltà di Medicina Osteopatica presso l'Università del Michigan.

Oltre trent'anni fa, nel corso di un intervento chirurgico egli osservò un movimento delle membrane interne al cranio; cominciò a studiarlo cercando una risposta. Fu così scoperto il ritmo cranio-sacrale o respiro primario della vita, in pratica un movimento ritmico indipendente dalla respirazione polmonare, dal ritmo cardiocircolatorio e da quello linfatico, un ritmo che ci accompagna fino alla morte.

La terapia cranio sacrale è una tecnica capace di percepire le disfunzioni dell'essere umano considerato come un sistema unitario ad alto livello di integrazione; essa lavora col ritmo del movimento di produzione e riassorbimento del fluido cerebrospinale che nutre e protegge il sistema nervoso centrale.

insertQuesto è un ritmo fisiologico che può essere sentito non solo nel cranio o nella colonna vertebrale bensì in tutto il corpo, come il respiro ed il battito del cuore. Nel corso di un trattamento il terapista cranio-sacrale entra in connessione con i tessuti corporei del paziente, si fonde, attraverso le mani, con essi, cerca di percepire la disfunzione e, attraverso l'invio di energia, aspetta in ascolto i segni di rilassamento di quel tessuto o distretto corporeo.

Ogni emozione o trauma subito, influisce sull'espressione di questo ritmo, dando origine ad asimmetrie, restrizioni, variazioni di ampiezza o frequenza, limitando l'espressione della nostra energia vitale e favorendo, perciò, la formazione delle malattie. Con un tocco delicato, applicando una pressione generalmente inferiore ai 5 grammi (il peso di una monetina) il terapista allenta le restrizioni dei tessuti sia all'interno del sistema cranio-sacrale sia nel resto del corpo, facilitando la circolazione del liquido cerebrospinale e migliorando il funzionamento neuronale.

Questo trattamento induce uno stato di rilassamento alleviando gli effetti negativi dovuti allo stress, rafforzando la resistenza alle malattie, rallentando i processi di invecchiamento e migliorando globalmente lo stato di salute.

La Terapia Cranio Sacrale lavora al confine fra il sistema fisico ed energetico dell'individuo, e così può affrontare problemi fisici come cefalee emicranie, dolori al collo e alla schiena, stanchezza cronica, difficoltà di coordinamento motorio problemi alla vista, colpi di frusta; ma anche depressione endogena, iperattività, disturbi del sistema nervoso centrale, malattie infantili, traumi da parto. Verificata la sua efficacia per riniti, vertigini «sine causa» (non attribuibili a una causa organica) e acufeni (ronzii continui alle orecchie). In più, possono essere trattati con efficacia problemi odontoiatrici o dell'articolazione mandibolare, come la malocclusione. Inoltre, tale terapia è potenzialmente in grado di fornire un aiuto straordinario a un numero elevato di cosiddetti casi medici "disperati", di persone per le quali la medicina convenzionale non ha dimostrato di essere efficace. Ed è talmente delicato da poter essere applicato anche in neonati e anziani, o in gravidanza.

Sebbene le tecniche del sistema cranio-sacrale siano molto semplici, trovano la loro base scientifica in una conoscenza approfondita del corpo e del suo funzionamento. Per il successo del trattamento è infatti indispensabile, che le mani, oltre quello che "sentono" possano realmente "vedere" la struttura in disfunzione e agire consapevolmente su di essa.

Questo necessita, da parte del terapista, di preparazione tecnica, concentrazione, rispetto e capacità di ascolto, affinché in un clima di fiducia, il paziente avverta che qualcuno si sta veramente prendendo cura di lui e ritrovi serenità ed equilibrio.

con la collaborazione di Katia Carletti
fisioterapista presso la Fondazione
Don Gnocchi di Ancona e terapista cranio sacrale